Quest'oggi copio in toto l'articolo di Natalino Ronzitti, apparso sul sito Affari Internazionali. In poche righe smonta anche sotto il punto di vista giuridico gli obiettivi e le aspirazioni della Lega Nord. Una lettura estremamente interessante.
Di tanto in tanto riaffiora la questione
della ‘indipendenza’ della Padania. Essa è ritornata in questi giorni e
il presidente della Repubblica è stato fermo nel ribadire che la nostra
Costituzione non consente alcuna secessione. L’art. 5 afferma a chiare
lettere che la Repubblica è ‘una e indivisibile’. Atti preparatori alla
secessione sono condannati dal nostro codice penale che, anche dopo
l’adozione della L. 85/2006 e le modifiche in materia di reati di
opinione, sanziona azioni violente preordinate alla dissoluzione
dell’unità nazionale.
La via della secessione è dunque inibita dal nostro ordinamento, che non
lascia nessun spazio all’aspirazione della indipendenza della Padania e
al suo ‘riconoscimento internazionale quale Repubblica federale
indipendente e sovrana’ (art. 1 dello Statuto della Lega Nord, 2002).
Ma come si pone la questione sotto il profilo del diritto internazionale
e, in particolare, del diritto all’autodeterminazione, che è stato
evocato (a sproposito) da alcuni esponenti della Lega Nord?
Secessione e diritto internazionale
Di per sé la secessione è indifferente per il diritto internazionale,
tranne che l’attività violenta preordinata a tale scopo, la repressione
del governo legittimo e l’eventuale ingerenza di stati terzi mettano in
pericolo la pace e la sicurezza internazionale e costringano il
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ad intervenire. In linea di
principio, il governo legittimo è libero di reprimere l’insurrezione,
sempre che la sua azione avvenga nel rispetto dei diritti dell’uomo e
del diritto internazionale umanitario, qualora il tentativo di
secessione inneschi un conflitto armato.
I ribelli non sono considerati legittimi combattenti e il governo al
potere può sottoporli alla sua potestà punitiva. Ovviamente la
secessione potrebbe essere consensuale (e pacifica) e scaturire da un
patto tra secessionisti e governo legittimo. La pratica internazionale
offre qualche esempio (Repubblica Ceca-Slovacchia), ma una separazione
consensuale è inibita dalla nostra Costituzione e trova un baluardo nel
citato art. 5.
Diritto all’autodeterminazione
Talvolta la secessione è assistita dal diritto all’autodeterminazione.
Allora la prospettiva giuridica cambia. In tal caso il diritto
internazionale non favorisce più il governo legittimo, ma il popolo che
ha diritto all’autodeterminazione, che vuole costituirsi in stato
indipendente (uno dei modi, ma non il solo, di attuazione del diritto
all’autodeterminazione). Anzi lo stato che reprime il diritto
all’autodeterminazione commette un illecito internazionale e dovrebbe
considerare i ribelli che combattono per l’indipendenza come legittimi
combattenti, qualora abbia ratificato, come ha fatto l’Italia, il
protocollo relativo ai conflitti internazionali aggiuntivo alle quattro
convenzioni di Ginevra.
Sennonché il diritto all’autodeterminazione, che attribuisce al popolo
di costituirsi in stato indipendente, è stato riconosciuto in primo
luogo ai popoli sotto dominazione coloniale, occupazione straniera o un
regime razzista (termini che hanno una chiara connotazione giuridica).
Il che non è palesemente il caso della Padania. Con il progredire del
diritto internazionale, il diritto all’autodeterminazione ha travalicato
l’ambito della decolonizzazione, con la conseguenza che attualmente
ogni popolo ha diritto all’autodeterminazione, un diritto che non si
consuma con l’acquisto dell’indipendenza, e questo vale in particolare
quando più popoli coesistano in uno stato indipendente.
Sennonché esistono due condizioni fondamentali: (a) il soggetto che
aspira all’autodeterminazione deve essere effettivamente un popolo; (b)
il governo al potere deve essere un governo non rappresentativo e che
discrimina il popolo che aspira all’autodeterminazione quanto a razza,
credo o colore. Altrimenti le risoluzioni delle Nazioni Unite, che
consacrano il diritto all’autodeterminazione, proteggono l’integrità
territoriale degli stati.
Popolo padano?
Le due condizioni da ultimo menzionate non si realizzano nel caso della
Padania. Si tratta, tutt’al più di una mera espressione geografica (o
piuttosto di un neologismo?) e non esiste un popolo padano distinto dal
popolo italiano, come non esistono più popoli che coesistano nello stato
italiano.
Sebbene gli strumenti internazionali (risoluzioni e trattati) che
disciplinano l’autodeterminazione non definiscano la nozione di popolo,
questa si è venuta affermando nella pratica internazionale come concetto
che ha finito per sostituire il termine nazione e che indica un gruppo
nazionale coeso. Non mancano neppure risoluzioni dell’Assemblea generale
delle Nazioni Unite che qualificano un’entità come popolo,
legittimandone l’autodeterminazione: ma questo non è il caso della
Padania.
Quanto alla seconda condizione, essa è palesemente insussistente anche a
supporre che la Padania sia un popolo. Com’è stato già da altri notato
(A. Cassese, La Repubblica, 2 ottobre 2011), i “padani” non sono
discriminati, tanto che alcuni esponenti della Lega Nord fanno parte del
governo della Repubblica.
Padania e minoranze
La Padania non è quindi un popolo. Esistono nella Padania, nella
configurazione delle regioni indicate nello statuto della Lega (art. 2),
delle minoranze. Ma queste, a differenza dei popoli, non hanno diritto
all’autodeterminazione e trovano il soddisfacimento delle loro
aspirazioni nei relativi strumenti internazionali di tutela ratificati
dall’Italia (art. 27 del Patto delle Nazioni sui diritti civili e
politici del 1966; Convenzione quadro del Consiglio d’Europa per la
protezione delle minoranze nazionali del 1995).
Natalino Ronzitti è professore di Diritto Internazionale e consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali.
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