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martedì 14 febbraio 2012

Fu la culla della civiltà occidentale, oggi è in fiamme

La Grecia, patria della democrazia, è oggi guidata da un governo tecnico con il semplice compito di obbedire al FMI, alla BCE e alla Unione Europea. La crisi ha portato nell'ultima parte del 2011 ad una recessione del PIL del 7% rispetto allo stesso periodo del 2010 trascinando nel baratro la vita di migliaia di persone.

La tensione sociale è alle stelle: sono stati dati alle fiamme una decina di edifici, durante gli scontri sono stati riportati una sessantina di feriti, 22 gli arrestati.
Le violenze sono inevitabili e probabilmente questo è solo l'inizio. I cosiddetti "black bloc" sono stati accolti dalla gente comune con gli applausi: è questo ciò che succede quando si minaccia la sopravvivenza stessa di una nazione, si può forse colpevolizzarli con le solite frasi di condanna senza se e senza ma? Le attenuanti ci sono tutte, chiunque abbia almeno intravisto cosa sta succedendo in quel Paese non può che essere d'accordo.

Papandreu ha recentemente dichiarato come il default e la conseguente uscita dall'euro avrebbe effetti catastrofici sulla Grecia. Nel breve periodo questo è sicuramente vero: la dracma oggi come oggi sarebbe carta straccia e l'iperinflazione sarebbe una certezza, esattamente come in Ungheria nel 1922. Per pagare la spesa si dovrebbero portare carriole di banconote e la recessione nel paese sarebbe devastante.

Ma nel lungo periodo cosa succederebbe? Una volta che la Grecia si sarà riappropriata della proprio Banca Centrale e di tutti i suoi strumenti fiscali e monetari, una ripresa non sarebbe possibile? Senza contare la competitività nelle esportazioni acquisita grazie ad una moneta debole.
D'altronde ormai si tratta di scegliere il male minore e non sono certo che rinunciare totalmente alla propria sovranità e cedere ai ricatti dei creditori sia un bene per il popolo greco.


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